La fine di un simbolo e di un enorme spreco
Per chi ha avuto l’occasione di viaggiare molto per lavoro – ho messo piede in una ottantina di paesi in giro per il mondo – il momento del rientro a casa, magari dopo una lunga trasferta di cibo così così e alberghi con il plexiglass al posto dei vetri – i freelance non sempre vanno nei 5 stelle – quando arrivava il momento di rientrare, con la carta d’imbarco con l’ala tricolore in mano, un senso di gioia e di casa faceva dimenticare tutti i patimenti e la durezza di certi posti.
Dopo il check-in, già sul lungo corridoio che porta all’ingresso dell’aereo, degusti l’idea di una caffè, di un quotidiano che ti racconta dei fatti di casa e di qualcuno che parla la lingua di tua madre, l’hostess che ti dà il benvenuto. Non importa se il volo dura sei o otto ore, sai che sei in famiglia, percepisci ogni sfumatura del linguaggio, delle espressioni, ti senti “quasi” come sul divano di casa, tra amici. E quando è il momento dello spuntino, gioisci come un bimbo davanti a un uovo di Pasqua: cosa ci daranno da mangiare?
Nei voli a lungo e medio raggio le maggiori compagne aeree continuano a servire la colazione, uno spuntino o la cena, in ragione della durata del volo, cosa che le low-cost hanno cancellato, facendo perdere quel momento divertente, che fa parte del viaggio, scoprire cosa c’è nei tanti contenitori sul vassoietto che gentili e sorridenti assistenti di volo servono. Magari il petto di pollo con riso bianco ti ricorda molto il paese che stai lasciando ma accanto scopri dei fantastici pezzetti di Parmigiano o dei piccoli formaggini rotondi Belpaese, che non vedevi più dai tempi di Carosello.
La livrea e i colori di Alitalia sono stati per decenni un segno di distinzione e di forte identità nazionale, e anche in Bangladesh, l’ultimo dei ragazzini scalzo e vestito di stracci, che staziona davanti all’uscita dell’aeroporto internazionale di Dhaka, in attesa di poterti portare le valige, sa che quando arriva il volo dell’Alitalia, nel cuore della notte, è un buon momento “gli italiani ti danno sempre qualcosa e se non ti danno soldi ti danno i biscotti o i pezzetti di formaggio che non hanno consumato in viaggio”.
Non sempre tutti i voli con Alitalia sono andati bene, i ritardi o il mancato arrivo di un bagaglio metteva in seria difficolta tutto il viaggio, spesso fatto di date e appuntamenti. Una volta la borsa con il cavalletto fece il giro di una mezza dozzina di aeroporti europei prima di vedermelo recapitare in albergo, ad Amman, l’ultimo giorno di lavoro. Fu l’occasione per scoprire che usare la telecamera a mano libera poteva dare uno stile più audace alle immagini.
Un giorno, su un volo da Milano ad Atene, con scalo a Roma, sale a bordo un pilota Alitalia che si siede accanto a me – non ricordo se tornava o stava raggiungendo la sua destinazione di lavoro. Erano i mesi dei “Volenterosi” dei “Capitani coraggiosi”, quella ammucchiata di imprenditori messi insieme dal governo Berlusconi che dovevano salvare – una delle tante volte – Alitalia.
Era stato proclamato lo stato di agitazione, gli scioperi erano dietro l’angolo. Conversando con il mio vicino di posto, chi meglio di lui poteva dirmi perché scioperavano in un momento delicato come quello, in cui si stava facendo di tutto per salvare la compagnia, il comandante mi disse: “ guardi, il volo Fiumicino Atene non è sufficiente per elencare le ragioni più importanti del nostro dissenso. Ne elencherò un paio. Tra i volenterosi che dovrebbero salvare Alitalia c’è un imprenditore che ha fondato una compagnia aerea che ormai è data per fallita e il piano di salvataggio di Alitalia prevede l’assorbimento di quella compagnia, del suo personale e dei suoi debiti. Ma non dovevano salvare l’Alitalia? Un’altra cosa, che pochi sanno, è che Alitalia paga le camere degli alberghi, dove pernotta il personale in trasferta, mediamente il doppio del prezzo di mercato e sempre fra gli imprenditori che dovrebbero salvare Alitalia c’è un imprenditore alberghiero che ha stretto un accordo con Alitalia sempre per i pernottamenti del personale, lei immagina a quali prezzi? Adesso vogliono salvare la compagnia facendo pagare al personale i costi di anni di mala gestio, e lei mi chiede se è saggio scioperare?”
Io ero molto contrariato, egoisticamente, per lo stato di agitazione e per l’eventualità di uno sciopero che rischiava di mandare all’aria i miei piani ma non potevo non essere d’accordo con il mio vicino di volo.
Eh sì, a volte si danno giudizi affrettati, senza conoscere tutte le ragioni degli altri e così, per anni, abbiamo additato le “assurde pretese” contrattuali che comitati di base pretendevano di mantenere, anche quando le condizioni non c’erano più, ma immagino lo stato d’animo di molti lavoratori della nostra compagnia di bandiera veder spolpata l’azienda da finti salvatori e spregiudicati politici che hanno usato Alitalia come una grande fonte di dispensatrice di posti di lavoro, di consulenze, di contratti di fornitura e tante altre indicibili nefandezze.