Il nuovo (dis)ordine mondiale

Quando l’ordine mondiale lascio il passo al disordine mondiale, il declino dell’Europa.

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Novità – Da oggi puoi ascoltare in podcast questo articolo.

Vi ricordate quando, durante l’ultima campagna elettorale, Giorgia Meloni gridava con forza e convinzione: “Sono Giorgia, sono donna, sono cristiana, sono madre”? Certo che lo ricordate. Quel motto è diventato un simbolo, un manifesto di identità politica, un grido capace di parlare alla pancia della gente. Molti lo derisero, altri lo accolsero come un richiamo ai valori tradizionali, ma innegabilmente fu un elemento chiave della sua vittoria. Quelle parole evocavano un’idea precisa di società, fondata sulla famiglia tradizionale, sulla centralità del sentimento di nazione, su principi che hanno contraddistinto gli ideali conservatrici delle forze politiche dell’Occidente negli ultimi ottant’anni.  

Eppure, oggi, quello slogan mi torna in mente con una forza ancora maggiore, quasi come un’eco lontana che si fa sempre più assordante. Perché sopra di noi – sulle nostre vite, sulle scelte quotidiane, sul futuro dei nostri figli – sta precipitando qualcosa che fino a pochi anni fa sarebbe sembrato inimmaginabile: la disgregazione della nostra società così come l’abbiamo conosciuta. Un modello che, con tutte le sue imperfezioni, ha garantito stabilità, crescita, sicurezza e ha permesso a generazioni di costruire famiglie, sogni, progetti.  

Oggi si profila all’orizzonte un nuovo ordine mondiale, un assetto in cui i valori su cui abbiamo edificato la nostra esistenza rischiano di essere travolti da dinamiche globali sempre più distanti dalla realtà delle persone comuni. Si parla di un mondo ipercontrollato, governato da logiche sovranazionali che puntano a ridisegnare i confini economici, sociali e culturali secondo schemi che non nascono dal basso, ma vengono imposti dall’alto. Il concetto di sovranità nazionale, di autodeterminazione, di identità sembra sfumare sotto la spinta di un’omologazione forzata, dove il cittadino diventa sempre più un ingranaggio di un sistema e sempre meno protagonista del proprio destino.  

E allora viene da chiedersi: siamo davvero consapevoli di ciò che sta accadendo? Oppure ci stiamo lasciando trascinare, quasi inconsapevolmente, verso un cambiamento che non abbiamo scelto e che potrebbe lasciare dietro di sé solo macerie?

Queste ore, queste settimane, potrebbero passare alla storia con il titolo “quando l’ordine mondiale lascio il passo al disordine mondiale, il declino dell’Europa.”

Se può essere di conforto…

Se Umberto Eco fosse ancora tra noi e avesse dovuto commentato la disgregazione dell’ordine mondiale a cui stiamo assistendo, lo avrebbe fatto con il suo inconfondibile stile erudito, ironico e analitico, evitando le semplificazioni ideologiche e smascherando le retoriche del potere, siano esse di matrice populista o tecnocratica. 

Probabilmente avrebbe affrontato la questione partendo da una prospettiva storica e semiotica, ricordandoci che la crisi dell’ordine mondiale non è una novità assoluta, ma un fenomeno ricorrente nella storia. Eco avrebbe forse evocato la caduta dell’Impero Romano, il declino del feudalesimo o la crisi dell’Europa dopo le guerre mondiali, mostrandoci come ogni presunta “disgregazione” sia in realtà un riassestamento, un momento di transizione verso un nuovo paradigma.  

Avrebbe poi messo in guardia dalla tentazione delle “grandi narrazioni complottiste”, tipiche di ogni epoca di incertezza, sottolineando come la paura dell’ignoto generi sempre il bisogno di trovare colpevoli e di creare schemi interpretativi semplicistici: ieri erano le società segrete, oggi le élite globali o le multinazionali della tecnologia. Non che queste realtà non esistano o non abbiano influenza, ma Eco ci avrebbe ricordato che la Storia non procede mai secondo un copione scritto da pochi burattinai, bensì attraverso un’intricata rete di fattori economici, sociali, tecnologici e culturali.  

D’altra parte, Eco avrebbe riconosciuto la specificità della crisi attuale, in cui il digitale e la comunicazione globale hanno accelerato la frammentazione delle identità e delle comunità. Avrebbe parlato dell’iperrealtà generata dai media, del sovraccarico informativo che porta alla perdita del senso critico, della trasformazione dell’opinione pubblica in una massa polarizzata tra chi rifiuta ogni cambiamento in nome della tradizione e chi abbraccia l’ideologia del progresso senza interrogarsi sulle sue conseguenze.  

la (dis)informazione dei social

Infine, con il suo sarcasmo sottile, avrebbe probabilmente sottolineato come in ogni epoca, di fronte al cambiamento, ci sia sempre qualcuno che grida all’Apocalisse, dimenticando che la Storia è fatta di continui cicli di ordine e disordine. Forse ci avrebbe ammonito con una delle sue frasi lapidarie: “Il problema non è il Nuovo Ordine Mondiale, ma il fatto che troppi si informano su di esso tramite meme su Facebook”*.  

In definitiva, Eco avrebbe invitato a decifrare il presente con lucidità e strumenti critici, senza cedere né alla paura né alla propaganda, perché, come diceva, “chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5.000 anni”. E per capire il mondo che cambia, occorre conoscere quelli che ci hanno preceduto.

Il nuovo ordine, la spartizione come a Yalta

In queste ore, chi legge i giornali, chi si tiene informato, sta assistendo a una nuova Yalta, ma questa volta senza alcuna voce europea al tavolo delle trattative. Anzi, il Vecchio Continente sembra essere l’oggetto del negoziato più che un soggetto attivo. Il nuovo ordine mondiale promosso da Donald Trump punta proprio a marginalizzare l’Europa, riducendola a spettatrice di un gioco geopolitico in cui le vere potenze negoziali sono gli Stati Uniti, la Cina e, in misura minore, la Russia. Il presidente americano vuole infatti porre fine al conflitto russo-ucraino accettando di fatto lo status quo, una pace di compromesso che sancirebbe i nuovi equilibri senza passare per il consenso europeo. Pechino osserva con interesse, consapevole che, in questa fase di incertezza, Washington ha bisogno della Cina più di quanto la Cina abbia bisogno di Washington.  

Trump lo sa bene: la battaglia commerciale e tecnologica con la seconda economia del pianeta è in bilico, se non già persa, certamente in una situazione di stallo. E allora ecco il suo piano: disegnare un nuovo ordine mondiale in cui l’America riafferma la sua leadership sull’intero emisfero occidentale. Non sono solo boutade le sue dichiarazioni sul Canada come 51ª stella della bandiera americana, sul ritorno di Panama sotto il controllo di Washington, sul dominio strategico della Groenlandia. Sono pezzi di un puzzle più grande che, una volta completato, rivela un disegno chiaro: il primato americano nel controllo, o quantomeno nell’influenza, sull’intero continente americano, relegando l’Europa a un ruolo sempre più marginale. La contropartita che Trump è pronto a offrire a Pechino riguarda il Pacifico: Taiwan, il Mar Cinese Meridionale, le Filippine, tutte pedine sacrificabili su una scacchiera che sembra ignorare del tutto gli interessi europei.  

La promessa di Giorgia Meloni

Ed eccoci al perché del riferimento iniziale a Giorgia Meloni. Se il mondo sta cambiando così rapidamente e in modo così radicale, l’Europa non può permettersi di restare a guardare, e meno che mai l’Italia può accettare di essere un ingranaggio secondario di un meccanismo che rischia di stritolarla. Qui entra in gioco la responsabilità della nostra presidente del Consiglio.  

Io ho una grande fiducia nella capacità di analisi e di governo delle donne. Lo vediamo in Scandinavia, dove molte delle leader politiche hanno dimostrato una visione pragmatica e lungimirante, libere da quell’ego ipertrofico che spesso caratterizza molti uomini di potere. Ed è proprio questo che mi aspetto da Giorgia Meloni.  

In quanto donna, ha il dovere di dimostrare quella lucidità e quell’intelligenza politica che spesso alle leader femminili viene attribuita in misura maggiore rispetto ai colleghi uomini. In quanto cristiana, dovrebbe ispirarsi ai valori di giustizia, di solidarietà e di difesa della dignità dei popoli, senza lasciarsi trascinare in una geopolitica fatta solo di potere e di interessi economici. Ma, soprattutto, in quanto madre, ha una responsabilità che va oltre la politica: quella di garantire un futuro stabile e sicuro per le prossime generazioni, senza accettare supinamente un ordine mondiale deciso altrove, che lascia l’Europa fragile e ininfluente.  

Il momento della verità

Ora è il momento delle scelte, delle decisioni coraggiose. Giorgia Meloni ha saputo imporsi nel panorama politico nazionale con determinazione, ora è chiamata a fare altrettanto sullo scenario internazionale. Non basta essere donna, cristiana e madre: bisogna dimostrare che questi valori hanno un peso nelle scelte politiche, che non sono solo slogan di campagna elettorale, ma una bussola per governare il cambiamento. Perché l’essere madre, donna e cristiana comporta scelte anche dolorose ma coraggiose, per il bene dei figli, della propria cultura e per la propria identità.  

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