Il portavoce del partito, Giovanni Donzelli, anziché affrontare il merito della condanna comminata ad Andrea Delmastro Delle Vedove, sposta l’attenzione sulla presunta politicizzazione della giustizia e sulla necessità di una riforma che ne riduca l’autonomia.
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La solita magistratura politicizzata
“Per qualche togato rosso è un reato difendere il carcere duro per mafiosi e terroristi” afferma il portavoce di FDI, come se la condanna di Delmastro non riguardasse la divulgazione di informazioni riservate ma una battaglia ideologica sulla sicurezza. Una logica pericolosa, secondo cui alcuni reati possono essere giustificati se commessi per la “giusta causa”.
Il governo Meloni, prosegue il portavoce, sarebbe “orgoglioso di non aver ceduto ai ricatti del terrorista Cospito”, mescolando il caso del detenuto anarchico con il procedimento contro Delmastro, quasi a suggerire che violare la legge sia legittimo se fatto nell’interesse della sicurezza. Un concetto che, portato all’estremo, autorizzerebbe i politici a muoversi al di sopra delle regole in nome di un bene superiore.
La magistratura sotto tutela, il progetto del governo
Ecco allora la promessa di riformare la giustizia, “liberandola dalla degenerazione delle correnti politicizzate”. Un’espressione che, tradotta, significa un assetto in cui la magistratura deve evitare di intralciare l’azione di governo, soprattutto quando si tratta di fedelissimi dell’esecutivo.
Delmastro chi? Quello delle pistole e spari a capodanno?
Sì, proprio lui: Andrea Delmastro Delle Vedove, deputato di Fratelli d’Italia e sottosegretario alla Giustizia nel governo Meloni. Un profilo che si è distinto non solo per la recente condanna a otto mesi per rivelazione di atti d’ufficio, ma anche per una serie di dichiarazioni e comportamenti che delineano bene il suo approccio alla politica e alla giustizia.
Gli spari a Capodanno
È lo stesso Del Mastro che, nella notte di San Silvestro 2023, in cui il genero dell’agente della sua scorta fu ferito a una gamba, a dirsi estraneo alla vicenda piena di scarica barili: “Io ero fuori”. Il proprietario della pistola, altro componente di FDI, l’onorevole Pozzolo dichiara: “Non ho sparato io”. Una vicenda che copre di grottesco, per non dire di ridicolo, uomini delle istituzioni che tentano di scaricare la responsabilità ad altri. Ad accusare Pozzolo di avere sparato sono stati, dall’inizio, Morello e Campana, capo scorta e il genero ferito. Durante l’indagine è spuntato anche un terzo testimone che ha accusato Pozzolo, Maverick Morello, il figlio del capo scorta. “Non sono stato io a sparare” ha ribadito per mesi Pozzolo. Il deputato in procura ha spiegato che si aspettava che fosse Morello a farsi avanti. Dopo che si è avvalso della facoltà di non rispondere il 18 gennaio in procura, alla fine, dopo mesi Pozzolo ha chiesto di farsi interrogare.
Il carcere come sofferenza
Sempre lui, che nel pieno delle polemiche sul trattamento dei detenuti, ha affermato senza mezzi termini che “il carcere deve essere sofferenza”. Nessun accenno al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, nessuna distinzione tra detenuti comuni e mafiosi, nessuna considerazione per le condizioni delle carceri italiane. Per Delmastro, la detenzione non è tanto un percorso di reinserimento, quanto una punizione che deve far male.
Un’idea di giustizia sotto controllo politico
Delmastro incarna alla perfezione una visione della giustizia subordinata alla politica, in cui i magistrati sono un problema quando toccano certi esponenti del governo. Non a caso, la sua condanna per aver diffuso informazioni riservate sulla detenzione dell’anarchico Alfredo Cospito è stata subito bollata da Fratelli d’Italia come un processo politico. In sostanza: il sottosegretario non avrebbe sbagliato, perché la rivelazione sarebbe stata fatta per un fine “giusto”. Un’idea pericolosa, che autorizza il potere politico a superare i limiti imposti dalle leggi se ritenuto necessario.
Delmastro, dunque, è un parlamentare che interpreta il suo ruolo con una visione della giustizia come strumento di governo, in cui la sofferenza è parte della punizione e i magistrati non devono disturbare l’esecutivo. Un politico che si muove in bilico tra provocazione e autoritarismo, tra l’ossessione per l’ordine e la tendenza a oltrepassare i confini dello Stato di diritto. Un fedelissimo di Meloni, e soprattutto uno specchio della cultura politica che Fratelli d’Italia sta cercando di imporre al Paese.
La condanna di Delmastro, secondo Fratelli d’Italia, sarebbe solo un processo politico, tanto che il portavoce assicura che nei prossimi gradi di giudizio si dimostrerà l’infondatezza dell’accusa. Poco importa che la sentenza sia arrivata dopo un regolare iter processuale: ciò che conta, per la destra, è che la politica venga prima della legge e che alcune violazioni siano ammissibili, a patto che siano commesse nel nome della sicurezza e del potere.
Poco onore, tanti privileggi
Un paradosso per un partito che fa dell’onore, della lealtà e del patriottismo i propri vessilli, salvo poi contraddirsi quando uno dei poteri dello Stato osa mettere in discussione i suoi uomini. Si chiede rispetto per la Nazione, ma si dileggia la Magistratura. Si invoca l’onestà, ma si giustifica la violazione delle regole. Si parla di difesa delle istituzioni, ma si colpisce la separazione dei poteri. Per Fratelli d’Italia, l’unica giustizia accettabile sembra essere quella che non disturba il governo.