Catania conta circa trecentomila abitanti, ma se allarghi il tiro all’intera area metropolitana, ecco che il numero cresce vertiginosamente fino a raggiungere il milione. E in questa città, ogni singolo abitante ha un diritto da rivendicare, un’esigenza da imporre, una necessità da pretendere con tanta enfasi da sembrare un diritto universale, sacrosanto. E quando non basta urlare, ci sono sempre le maniere forti. Ogni negoziante, ristoratore, e commerciante ha il sacrosanto diritto di parcheggiare solo i suoi clienti davanti alla sua attività, fosse anche una sola macchina, non importa se tu, che abiti a dieci metri di distanza, non sei affatto il loro cliente. Pazienza. Poi c’è la discoteca, che all’imbrunire diventa il cuore pulsante della città, e già alle otto del mattino ti transenna parte dell’angusta stradina. Oggi, “qui non si parcheggia”, e non c’è spazio per discussioni. E non mancano nemmeno i lavori pubblici, quelli che ogni cittadino teme e ama allo stesso tempo, perché se trovi la strada chiusa davanti al garage, benvenuto nel circo. Nessun cartello che ti avverte della chiusura per lavori di pavimentazione, ma non c’è da disperarsi, dureranno solo… tre settimane. E poi, alla domanda “ma non sarebbe stato il caso di avvertire i residenti?”, la risposta è una meravigliosa quanto tagliente e sottointesa: ma in quella zona, che volete, ci sono solo prostitute e travestiti, quindi loro non hanno gli stessi diritti di cui sopra? La comunicazione? Beh, quella è venuta meno, effettivamente, un compunto ingegnere comunale ammette.
Tutti hanno un diritto
A Catania, ogni figura, dal sindaco ai commercianti, ha sempre una ragione che, magicamente, giustifica tutto. Il sindaco, che si dimena per cercare di raddrizzare le sorti di una città bella e dannata, indisciplinata ma irresistibile. Il negoziante, che è lì a difendere il suo diritto a lavorare, in un’isola dove il lavoro scarseggia, e guai a ostacolarlo. E poi c’è quello della discoteca, che vuole solo fare festa, perché è solo per una sera. E una sera, a Catania, può durare una vita intera.
In materia di rifiuti, Catania sta cercando di intraprendere una battaglia – improba, direi – ma almeno ci prova. Chi può, si attrezza: ti munisci dei sacchetti, ti organizzi, ti sforzi di seguire le normative che ti impongono di differenziare i tuoi rifiuti, ma la mattina arriva il camion e tutto finisce nello stesso enorme bidone, addio differenziata. Poi ci sono quelli che, spinti da un retrogusto di spirito civico, decidono di fare le cose per bene. Così, con il cuore gonfio di buona volontà, ti prepari a portare i sacchi di erba tagliata – che, va detto, non erano proprio una manciata, ma circa una trentina di sacchi – in discarica. Arrivi, chiedi istruzioni, il furgone viene scrutato con occhio esperto, ti dicono che sì, è tutto ok, e ti indicano dove scaricare. Per un attimo, ti fai prendere dall’illusione che a Catania, almeno per quanto riguarda la discarica, non facciamo una questione di quantità. Ma il tempo di scaricare i sacchi e la stessa addetta che ci aveva dato il permesso arriva, con la sigaretta elettronica che emette vapore come una locomotiva in fiamme, a urlarci che no, non possiamo scaricare tutto. La sorpresa è totale. Siamo in due, e magari il dubbio che il sessantenne in me non abbia capito può esserci, ma chi mi accompagna, che ha meno di trent’anni, mi guarda incredulo. Facciamo presente che abbiamo seguito le sue indicazioni, ma la risposta è un’immediata minaccia: “la prossima volta…” – un’oscura e affascinante promessa di sanzioni.
Confesso, mi sono lasciato andare. Sono stato rude, ho alzato la voce, ma non con chi c’entrava. Mi sono arrabbiato con un malcapitato addetto che non aveva colpa, ma sentirsi minacciato in quanto cittadino e contribuente da qualcuno che, con nonchalance, decide arbitrariamente cosa posso fare e cosa no, mi ha fatto perdere la pazienza. Mi sono adattato alla mentalità locale, quella del commerciante che ti minaccia di farti sparire la moto se la lasci dove “non devi”, del gestore della discoteca che chiude una strada con le transenne come se fosse il suo regno privato, ignorando ogni norma, diritto e legge. Ho dovuto far capire che anche il cittadino ha i suoi diritti, e che nessuno può permettersi di pontificare con “la prossima volta…”.
La rigenerazione culturale della città
Eppure, il sindaco vuole candidare Catania come città della cultura, e nonostante tutto, la città avrebbe davvero tutti i requisiti per farcela. Letteratura, musica, arte, storia, cucina, ambiente: Catania non sfigurerebbe affatto. Ma c’è un piccolo ostacolo, che suona come un macigno: la “cultura dei catanesi”. Quella stessa cultura che, per anni, ha visto la politica agire a colpi di azioni spot, che durano il tempo di un fiore appassito – ricordo ancora i fiori di Enzo Bianco. Ora l’attuale sindaco ha una nuova parola magica: rigenerazione urbana, come proclamato da un cartello che spicca in Corso Sicilia. Ma forse, prima di pensare a rigenerare il cemento, sarebbe meglio rigenerare la società, la cultura, il modo di pensare. Il resto, come si dice, viene da sé.
Che verità!
La ringrazio come sempre perché leggendola arricchisco e allargo la mia mente.
Maria Aurelia Caburosso