Storie di Covid.
A Milano cade la prima neve di questo inverno che si annuncia pieno di insidie. Vorremmo poter già essere nell’estate del 2021 ed esserci messi alle spalle il Covid e le sue triste storie.
Storie, come questa che sto per raccontarvi, dalla tragica comparsa del Covid, ne abbiamo udite tante in questi mesi. La pandemia ci ha obbligato ad accettare qualcosa che è umanamente impossibile accettare, immaginate abituarcisi: perdere un congiunto senza riuscire a dargli l’ultimo saluto, l’ultima carezza. Non era un congiunto Flora, la mia vicina di casa che mia figlia aveva da subito chiamato nonna, in mancanze di quelle naturali. Non stava molto bene, da anni combatteva con uno di quei mali che a volte ti porti dietro per anni, altre volte non lasciano scampo. Flora ci aveva convissuto per più di un decennio, e tutto lasciava presagire che sarebbe andata avanti così per un po’. La sua routine degli ultimi anni era fatta di frequenti visite in ospedale per i periodici controlli, le analisi, le terapie che man mano cambiavano con il mutare del male. L’ospedale, fortunatamente, non dista molto da dove viviamo, tanto da poter essere accompagnata da suo marito, ottantenne, ma in discreta salute, anche lui segnato dal male da anni, ma in grado di guidare. Circa un mese fa Flora deve recarsi in ospedale per i controlli e un piccolo intervento di biopsia. Per poter accedere al reparto è sottoposta al tampone: negativa. Si procede con il ricovero e le cure previste. La degenza si protrae un paio di settimane, un po’ più del previsto. Le notizie sullo stato di avanzamento del tumore non sono buone ma nessuno si aspettava diversamente. Anche Flora era consapevole e, nonostante tutto, teneva duro. L’inizio della fine comincia con una telefonata. Poche ore dopo essere stata dimessa dall’ospedale, le comunicano che è risultata positiva al tampone effettuato poco prima di essere dimessa. Un esito, evidentemente, che non hanno atteso prima di lasciarla tornare a casa.Al telefono, oltre all’esito del tampone, indicano le procedure da seguire per il monitoraggio e le cautele verso l’unico convivente, l’anziano marito ottantenne.Flora è asintomatica, nessun segno di febbre o difficoltà respiratoria: sembra un miracolo. Ma dura poco. Tre giorni dopo comincia a respirare male, con molta fatica. Riesce ancora a camminare e a salire sull’ambulanza che la preleva dalla sua abitazione. Il marito la saluta da lontano, non può nemmeno stringerle la mano, i sanitari, vestiti come palombari, la sorreggono e invitano il marito a stare a distanza. Si salutano sbrigativamente, con gli occhi, come a dire ci vediamo dopo.Dall’ospedale le notizie arrivano con il contagocce: situazione stabile. I figli per giorni aspettano le poche comunicazioni che arrivano dal reparto, ogni tanto anche Flora riesce a chiamare suo marito, giusto un saluto, non riesce a parlare a lungo e la telefonata dura poco.I medici non si sbilanciano, aggiornano i figli sullo stato delle cure che non sembrano rispondere adeguatamente. Le telefonate si diradano, Flora è stazionaria ma non migliora. I medici avvertono i figli che in caso di peggioramento non la intuberanno ma cominceranno con la morfina e altri calmati. Il quadro clinico complessivo non lascia margine di miglioramenti. Flora era andata in ospedale, fiduciosa di poter ancora una volta strappare qualche anno, qualche mese a quell’invisibile nemico con cui aveva imparato a convivere e che tutto sommato aveva imparato a domare per così tanti anni ma non aveva fatto i conti con la trappola mortale che nel frattempo era diventato l’ospedale. Flora è morta questa notte nell’ospedale che tante altre volte le aveva dato una speranza in più ma questa volta l’ha tradita.