La proposta del Ministro dell’Educazione e del Merito, Giuseppe Valditara, di reintrodurre il latino alle scuole medie, lo studio della Bibbia, la memorizzazione di poesie e un maggiore focus sulla storia d’Italia ha suscitato un dibattito acceso. La questione centrale è: ha senso tutto questo nel 2025, in un’epoca caratterizzata da tecnologie avanzate, globalizzazione e rapidi cambiamenti sociali?
Reintrodurre il latino alle scuole medie, studiare la Bibbia, imparare poesie a memoria e concentrarsi maggiormente sulla storia d’Italia: sono queste le proposte che il Ministro dell’Educazione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha messo sul tavolo. Idee che richiamano una scuola più radicata nella tradizione, ma che inevitabilmente aprono un dibattito sulla loro reale utilità in un’epoca come la nostra, caratterizzata da rapidissimi cambiamenti.
E il latino?
Diciamolo chiaramente, il latino divide. Da un lato, è un linguaggio che porta con sé un’eredità straordinaria: le basi della nostra lingua, la nostra letteratura, persino il nostro modo di pensare. C’è chi giura che studiare il latino migliori la logica e insegni la disciplina. Eppure, dall’altra parte, non possiamo ignorare che viviamo in un mondo dove la richiesta di competenze è cambiata: sapere l’inglese o programmare in Python potrebbe fare la differenza più del genitivo assoluto. Il latino, quindi, è ancora uno strumento di crescita o rischia di essere un ricordo di un tempo che non c’è più?
E la Bibbia?
Che piaccia o no, la Bibbia è un pilastro della cultura occidentale. Non si tratta solo di religione: l’arte, la letteratura, la musica, persino il cinema sono pieni di riferimenti biblici. Capirli vuol dire avere le chiavi per decifrare parte del nostro passato e del nostro presente. Ma ha senso studiare solo la Bibbia? Viviamo in una società multiculturale e multireligiosa, dove i testi sacri non sono solo cristiani. Forse ampliare lo sguardo ad altre tradizioni potrebbe essere un ponte verso una comprensione più profonda del mondo in cui viviamo.
E poi, le poesie a memoria?
Qui il discorso si fa sentimentale. C’è qualcosa di magico nel recitare a memoria una poesia, nel ritrovare nelle parole di un poeta le nostre emozioni. È un esercizio che allena il cervello e il cuore. Ma quanto spazio possiamo dare alla memoria in un’epoca in cui tutto è accessibile in un clic? Forse il punto è trovare un equilibrio: più che imparare a memoria, capire a fondo, entrare in sintonia con i versi, farli propri.
Infine, la storia d’Italia.
Se c’è una proposta che sembra avere un senso quasi incontestabile, è questa. Sapere chi siamo, conoscere il nostro passato, ci aiuta a non perderci. Eppure, anche qui c’è una domanda da farsi: quanto possiamo concentrarci su noi stessi senza aprire lo sguardo al mondo? L’Italia ha una storia ricca e complessa, ma non possiamo ignorare il contesto globale, soprattutto in un’epoca in cui le connessioni tra i popoli sono più forti che mai. Ma è davvero la qualità dell’insegnamento che sta a cuore al nostro ministro o una certa revisione degli argomenti?
E quindi?
La scuola che propone Valditara è anacronistica, rischia di guardare indietro più che avanti. Il mondo cambia troppo in fretta per restare ancorati a modelli del passato senza rinnovarli. Studiare il latino, la Bibbia, le poesie e la storia d’Italia può avere un senso, ma solo se queste materie si aprono al presente e si intrecciano con le competenze di cui i giovani hanno bisogno oggi. Tradizione e innovazione non devono escludersi a vicenda: possono convivere, ma serve una visione che sappia guardare in entrambe le direzioni.
Al netto delle buone intenzioni del ministro Valditara, la sua proposta sembra rispondere più all’urgenza di ripristinare un vecchio modello scolastico che a quella di costruire un sistema educativo proiettato verso il futuro. Il ritorno al voto in condotta, alla valutazione numerica e ad altri aspetti tradizionali appare come un’operazione nostalgia, poco in sintonia con una scuola che si trova oggi al centro di una rivoluzione tecnologica. Con l’avanzare di intelligenza artificiale, reti informatiche e strumenti digitali, l’educazione ha bisogno di guardare avanti, abbracciando il cambiamento e preparandosi alle sfide di un mondo in rapida evoluzione, piuttosto che rimanere ancorata al passato.
In fondo, la vera domanda non è cosa insegnare, ma come insegnarlo. E soprattutto, per chi.
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