Insicurezza: quando la paura diventa format televisivo

Paura, propaganda e capriole retoriche: il caso sicurezza nei talk show. Per anni hanno martellato sulla presunta incapacità della sinistra di garantire ordine e legalità, ma ora che la destra governa, la narrazione cambia: i problemi restano, ma il governo sta "facendo il massimo" e nella "giusta direzione". Tra equilibrismi linguistici e giustificazioni creative, i talk show trasformano il racconto della sicurezza da atto d’accusa a paziente attesa del miracolo.

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Per anni, il palinsesto dei talk show di Mediaset ha funzionato come un metronomo perfetto, scandendo con precisione i temi che avrebbero dominato il dibattito pubblico: degrado urbano, criminalità, immigrazione incontrollata. Un copione ben collaudato, ripetuto con ossessiva puntualità da conduttori e opinionisti, con un messaggio chiaro: l’Italia era in balìa dell’insicurezza, e la colpa era della sinistra incapace di gestire l’ordine pubblico.  

Quando non c’era Lei al governo…

Da “Dritto e Rovescio” di Paolo Del Debbio a “Quarta Repubblica” di Nicola Porro, passando per “Fuori dal coro” di Mario Giordano e “Zona Bianca” di Giuseppe Brindisi, la narrativa era sempre la stessa: città trasformate in “zone franche” fuori controllo, immigrati clandestini dipinti come la causa principale di ogni forma di delinquenza, cittadini abbandonati da uno Stato inefficiente. E il tutto accompagnato da servizi allarmistici, testimonianze selezionate ad arte, titoli a effetto e collegamenti in diretta da quartieri problematici, con immagini di bivacchi, spaccio e risse tra stranieri a rafforzare l’idea di un Paese sull’orlo del baratro.  

La strategia era chiara: bombardare quotidianamente il pubblico con il senso di insicurezza e instabilità, creando un sentimento di paura diffusa e di rabbia nei confronti di chi, secondo questa narrazione, aveva fallito nel garantire la sicurezza dei cittadini. E chi governava in quel momento? La coalizione giallo-verde. Un nemico perfetto, facile da attaccare e incapace di rispondere con la stessa efficacia comunicativa.  

Peccato, però, che in quello stesso governo, mentre le telecamere puntavano il dito contro tutto il centrosinistra, ci fosse anche la Lega di Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e Ministro delle Infrastrutture dell’odierno governo. Ma questo piccolo dettaglio veniva sempre opportunamente sfumato. Non importava che la gestione della sicurezza fosse di competenza anche del leghista Salvini, l’obiettivo era chiaro: alimentare la convinzione che solo un cambio radicale di governo potesse risolvere i problemi del Paese.  

Stiamo lavorando per voi

E così, la martellante propaganda televisiva ha fatto il suo dovere, plasmando la percezione collettiva e trasformando il tema sicurezza in uno dei cavalli di battaglia più efficaci della campagna elettorale. Il risultato? Le elezioni le ha vinte la destra. Ma una volta conquistato il potere, cosa è cambiato davvero?

Ma una volta al governo, con la destra saldamente al comando, sorgeva una domanda inevitabile: “di cosa avrebbero parlato ora quei giornalisti che fino a poco tempo prima avevano un unico argomento di discussione, ovvero la sicurezza che il governo non riusciva a garantire? “

Si sa, parlare alla pancia della gente funziona sempre. Non c’è niente di più efficace, in termini di audience e di consenso, che evocare scenari da far west urbano, descrivere anziani truffati inermi nelle loro case, bande di borseggiatrici “zingare” che imperversano indisturbate nelle metropolitane, immigrati dediti esclusivamente a spaccio e rapine. È un format collaudato, un racconto che tira giornalisticamente, che tiene alta l’attenzione dello spettatore medio e alimenta una narrazione chiara: il degrado e l’insicurezza sono fuori controllo, e chi ha governato fino ad ora è colpevole di averli lasciati proliferare. 

E così, anche dopo la vittoria della destra e l’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, i talk show non hanno cambiato di molto il tono. Per settimane, anzi per mesi, il refrain è rimasto invariato: “la sinistra ha lasciato il Paese in balìa del crimine, i governi precedenti hanno consegnato l’Italia ai delinquenti, ai clandestini e alle bande di borseggiatori.” Il ritornello martellante era sempre lo stesso: la nuova maggioranza non poteva certo risolvere i problemi in pochi giorni, ma intanto il disastro lasciato in eredità da chi c’era prima era tale da giustificare qualunque lentezza o incertezza nell’azione di governo.  

Giornali o fanzine?

Gli stessi giornalisti che avevano passato anni a denunciare l’inefficacia della sinistra nel garantire la sicurezza, ora si ritrovavano a dover gestire la contraddizione: se le città continuavano ad essere insicure, di chi era la colpa adesso? Certo, non della nuova classe dirigente, che aveva appena iniziato il suo percorso, ma del “disastro ereditato”. Un concetto ripetuto fino allo sfinimento, un escamotage perfetto per guadagnare tempo e soprattutto per evitare di porre la vera domanda: dove sono finite le promesse di sicurezza e ordine che avevano riempito i programmi elettorali?  

E così, mentre gli italiani continuavano a sentirsi raccontare le stesse storie, qualcosa iniziava a scricchiolare. Perché se prima il problema era sempre e solo la sinistra al governo, ora che la sinistra non governava più, la narrazione cominciava a perdere mordente.

Contorsioni intellettuali

Le capriole linguistiche e i testa-coda del pensiero giornalistico di destra, sempre abili nell’adattarsi alle esigenze del momento, ieri sera hanno toccato un nuovo picco di virtuosismo. Un esercizio di equilibrismo verbale degno di un prestigiatore, dove il fine ultimo non è informare, ma piegare la realtà alla necessità di giustificare l’ingiustificabile.  

Se fino a ieri la narrazione era chiara e implacabile – la sicurezza è fuori controllo, la sinistra ha fallito, servono misure drastiche – ora che il centrodestra è al governo la retorica ha dovuto reinventarsi. Il crimine continua ad esistere, le città non si sono magicamente trasformate in paradisi di ordine e disciplina, ma il colpevole non può più essere il “solito noto”. E allora, ecco la magia: le responsabilità del degrado e della criminalità diventano improvvisamente un’eredità pesante, un’eredità storica, qualcosa che richiede tempo, pazienza, e soprattutto fiducia nella nuova guida del Paese.  

La serata di ieri è stata una parata di equilibrismi lessicali: da un lato si continua a denunciare il caos, le violenze, le “bande di clandestini” che infestano le città, dall’altro si fa a gara per rassicurare il pubblico che la nuova leadership ha tutto sotto controllo – o meglio, che lo avrà, a tempo debito. Il risultato è un curioso paradosso: l’Italia è allo sbando, ma per la prima volta lo è nella maniera giusta.

Esatto. Il governo sta facendo quello che può, nella giusta direzione, con i giusti tempi, con le giuste modalità. E se i problemi persistono, la colpa è del passato, dell’eredità ricevuta, del sistema farraginoso, della burocrazia, del clima, di Saturno contro. 

Non disturbate il manovratore

 Questa è, in sintesi, la risposta di Daniele Capezzone a Paolo Del Debbio, ieri sera, quando il conduttore ha sollevato la questione sicurezza chiedendo un parere sulla gestione del governo Meloni. Nessuna critica, nessun dubbio, nessuna domanda scomoda. Solo una rassicurante conferma: il governo sta già lavorando per risolvere tutto, ci vuole tempo, ma il cammino è quello giusto. 

E così, l’intero dibattito si è svolto in perfetta armonia, un balletto retorico dove il problema esiste, è grave, ma la soluzione è già in atto, quindi non c’è da preoccuparsi. Non conta che i fatti contraddicano la narrazione, conta solo che la storia venga raccontata nel modo giusto.  

Un tempo, di fronte a un governo in difficoltà, i talk show si trasformavano in tribunali mediatici. Oggi, invece, sono diventati una sorta di servizio clienti per l’esecutivo: problemi? Pazienza, stiamo lavorando per voi.

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