The land of Love of God
Il mio lavoro di fotogiornalista mi ha portato a visitare oltre 100 paesi dei cinque continenti. Con la mia macchina fotografica e il mio taccuino ho raccolto le più disparate storie e vicende umane. Mi definisco un foto-antropologo, le storie che mi hanno sempre più attratto riguardano l’uomo e la sua complessa esistenza.
Nel gennaio del 2001 ho preso parte a uno degli eventi religiosi più spettacolari e imponenti della storia recente, Grand Khumba Mela. Oltre 70 milioni di pellegrini transitarono durante il mese di celebrazione sulle rive del Gange per il rituale dell’abluzione.
Un evento che accadeva durante una straordinaria congiunzione temporale: l’inizio di un nuovo millennio, di un nuovo secolo e del ciclo dei Gran Khumba Mela, il ciclo di eventi che si ripete ogni 3 anni in uno dei 4 luoghi sacri dell’Induismo e che si conclude ogni dodici sulle rive del Gange.
Durante quella straordinaria esperienza, comincia a conoscere alcuni aspetti del complicato mondo spirituale indiano, ma neanche in quell’occasione sentii parlare di Vrindvana.
Quel libro, rimasto per così tanto tempo nella mia libreria, trent’anni dopo da quell’incontro londinese, mi avrebbe rivelato l’opera del suo autore, A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, e il suo monumentale lavoro di traduzione delle scritture dal sanscrito ma più di ogni altra cosa l’esistenza di Vrindavana che, grazie alla sua impegno di divulgazione tornava a godere dell’attenzione di Krishna ed essere il cuore pulsante del movimento Hare Krishna.
E il mio viaggio ha avuto inizio proprio da questi luoghi, dalla piccola cella dove A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada visse e lavoro per molti anni fino al letto dove il 14 novembre 1977 lasciò il suo corpo. Un viaggio, ma soprattutto un privilegio che pochi non devoti hanno avuto la possibilità di fare, che qualcuno l’ha intrepretato come un regalo speciale di Krishna.
A Vrindavana si viene più per vivere che non per vedere i luoghi della spiritualità.
Vrindavana è un posto più dell’anima prima che fisico. Il suo speciale rapporto che i devoti di Krishna hanno con la sua dimensione di piccola cittadina indiana, trascende la fisicità di luogo religioso o ispirato a devozione.
Superare i limiti dell’esperienza sensibile, della realtà tangibile è quello che Vrindavana promette ai suoi visitatori.L’essere a Vrindavana per un breve periodo o solo transitarvi per qualche giorno, ricongiunge la propria spiritualità con l’artefice di tutto il Creato. Ed è una condizione di assoluto privilegio. Un rapporto molto intimo lega questo luogo con i devoti di Krishna, un rapporto non ostentato, di discreta ed emotiva partecipazione.
E non è un caso che molti viaggiatori, che hanno visitato le maggiori località indiane, non abbiano mai sentito parlare di Vrindavana, e davvero pochi dei milioni di turisti, che ogni anno si recano ad Agra, a visitare il celebre Taj Mahal, hanno fatto una sosta a Vrindavana, che si trova proprio lungo la direttrice Delhi-Agra.
Perché Vrindavana è ancora prima che una cittadina dell’India, a 120 chilometri a sud di Delhi, è il luogo dove i devoti di Krishna ritrovano le radici della loro complessa spiritualità, dove, secondo gli antichi testi Veda, Krishna abbia trascorso e vissuto la sua spensierata fanciullezza, piena di gioiosi divertimenti.
Comprendere la complessa struttura e le diverse figure e forme divine induiste non è facile per un occidentale, specie se si è letto molto poco a riguardo. La mia sfida è stata quella di dare corpo a qualcosa che corpo non ha: la fede, la spiritualità di una civiltà millenaria come quella indiana nella forma di amore e devozione a Dio, la Persona Suprema, Krishna. Ma questa mia genuina ignoranza mi ha permesso di riprendere, raccontare e fotografare, senza alcun pregiudizio e senza nessun condizionamento. Semplicemente ho raccontato quello che ho visto.